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Lug 2017
La leggenda di Re Artù in versione Etnea

Tutti conoscono la storia della Spada nella Roccia. Tutti conoscono la storia di questa spada conficcata in un grande masso da tempi immemori in attesa della venuta di un re meritevole. E tutti sanno che questo re meritevole arrivò e che il suo nome era Re Artù.

Da qui le innumerevoli storie del ciclo carolingio e bretone che raccontano dei cavalieri della tavola rotonda, di dame e damigelle, di duelli, amori, tradimenti e traditori. Ma anche la Sicilia vanta una leggenda che si fa risalire all’epoca di influenza normanna, trasmessa fino a noi dalla tradizione di pupi e pupari.

Secondo questa leggenda, Re Artù ormai anziano e quasi in punto di morte voleva far riparare la sua spada che si era spezzata. Il suo desiderio era quello di farla tornare lucente come quando la aveva impugnata per la prima volta ed era diventata simbolo di un grande re che aveva saputo imporre giustizia e virtù.

A re Artù apparve l’Arcangelo San Michele che per esaudire l’ultimo desiderio di quest’uomo giusto lo trasportò per i cieli e lo depose sulla cima dell’Etna. Lì, grazie al fuoco del vulcano, i tronconi della spada furono saldati insieme e dopo averne contemplato la perfezione re Artù si addormentò in una caverna. Risvegliatosi all’alba e affacciatosi sul meraviglioso scenario che gli si apriva davanti agli occhi chiese a Dio di poter vivere ancora per rendersi garante di tutta quella bellezza e dei disegni divini a questa sottesi.

E Dio esaudì la sua preghiera. Con l’aiuto della sorella fata Morgana, che risiedeva a Messina, Re Artù costruì una reggia dentro il cratere del Vulcano per poter vigilare sulla bellezza del territorio e impedire al vulcano di distruggere Catania. Smette di sorvegliare solo per andare a trovare, ogni tanto, i bambini inglesi e portare loro in dono fiori e frutti di Sicilia ed è allora che l’Etna ne approfitta e sputa fuori lava, lapilli e cenere con tutta la sua furia.

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