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Gen 2017
L’arancino

Anche l’Accademia della Crusca si è espressa a riguardo dopo decenni di battaglie etimologiche, ma l’eterna diatriba tra i siciliani non si è placata. Parliamo ovviamente di una delle specialità gastronomiche simbolo della Trinacria: l’arancino, che per questo entra a pieno titolo nella sezione dedicata alle storie di Catania. Si sa, nelle aree occidentali viene indicato con il femminile “arancina”, ma per noi orientali, figli dell’Etna, sarà sempre e solo “masculo”, e come noi la pensa anche Camilleri che ha intitolato uno dei suoi libri “Gli arancini di Montalbano” rendendo la pietanza ancora più celebre.

Molti difensori della variante femminile si appellano alla somiglianza del manicaretto con l’arancia, ma in realtà il dizionario siciliano-italiano di Giuseppe Biundi nel 1857 riportava il lemma “arancinu”. E’ infatti frequente in siciliano declinare i frutti al maschile, a differenza della lingua italiana, e dunque la variante femminile sembra essere di conio più recente.
Un’altra grande differenza che interessa gli arancini della Sicilia orientale e quelli della Sicilia occidentale è la forma. Quelli del palermitano vengono paragonati alle arance proprio perchè rotondi, ma qui nel catanese hanno forma conica, probabilmente in onore del vulcano: infatti tagliando la punta di un arancino appena fatto escono del vapore e del sugo, elementi che richiamano le eruzioni.

Ma vediamo come è nata questa prelibatezza che ha reso famosa la nostra cultura culinaria e che tutti ci invidiano. Analizzando gli ingredienti che costituiscono la pietanza si può parlare di un’origine alto-medioevale legata al periodo della dominazione musulmana quando, durante i banchetti, si usava disporre al centro della tavola un ricco vassoio di riso aromatizzato allo zafferano e condito con verdure e carne. Ovviamente in quel periodo non poteva ancora essere arricchito dal sugo poiché il pomodoro doveva ancora essere importato dalle Americhe. La panatura croccante invece si fa risalire alla corte di Federico II di Svevia, nel XIII secolo, perché l’imperatore amava a tal punto questa pietanza che ordinò ai cuochi di trovare un modo per poterla portare con sé durante le battute di caccia. Il risultato finale riuscì ad assicurare un’ottima conservazione del riso e del condimento, oltre ad una migliore trasportabilità.

Gli arancini più diffusi in Sicilia sono quello alla carne, con ragù, piselli e carote, quello al burro con mozzarella e prosciutto, e ancora quello con spinaci e mozzarella. Qui a Catania non poteva mancare l’arancino “alla norma” con le melanzane e quello al pistacchio di Bronte. In qualche arancineria è comunque possibile mangiarne di tutti i tipi: con funghi, salsiccia, salmone, pollo, frutti di mare, nero di seppia e non mancano le varianti dolci come quelli al cioccolato, alla giuanduia, ma anche al cacao e coperti di zucchero.

Manciativillu!

Nello scatto un’immagine di Salvo Puccio.

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