“Adelson e Salvini”: l’operaprima di Bellini in scena al Teatro Bellini

Vincenzo Bellini vinse la sfida della sua operaprima musicando “Adelson e Salvini”, che segnò per lui l’esordio nel melodramma, schiudendogli le porte di un cammino glorioso.

È questo il titolo che la stagione lirica del Massimo catanese presenta in cartellone dopo la pausa estiva, proponendo più esattamente la prima delle due versioni cui il compositore attese. La partitura verrà eseguita nell’edizione critica curata da Casa Ricordi: un autentico evento che s’inserisce nella programmazione del Teatro Bellini Festival, che l’ente dedica al sommo compositore catanese.

Sette le rappresentazioni che si succederanno dal 23 settembre, per onorare l'anniversario della morte del Cigno, fino al 2 ottobre. Sul podio ritorna la blasonata bacchetta di Fabrizio Maria Carminati, benemerito nella riscoperta dei titoli più rari del repertorio belcantista e direttore particolarmente apprezzato dal pubblico etneo in occasione dell’ultima ripresa dei Puritani, nel dicembre del 2015.

Il nuovo allestimento, coprodotto con la Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi, reca la firma di Roberto Recchia, intento a sottolineare il malessere esistenziale del pittore Salvini, che di poco anticipa quello di Werther, associandone la figura a quella di William Etty, protagonista di spicco della scuola britannica primottocentesca e appassionato ritrattista femminile. Così sulla scena, tra tele incompiute e quadri d’autore, si sviluppa l’amicizia tra l'artista ialiano e Lord Adelson che lo ospita nel castello in Irlanda, ma cresce al tempo stesso l’amore di entrambi per la virtuosa Nelly, in un thriller senza esclusione di colpi che saprà commuovere e divertire, irretire e affascinare.

Nei ruoli principali: il mezzosoprano José Maria Lo Monaco (Nelly) che si alternerà con Gabriella Sborgi, il baritono Carmelo Corrado Caruso (Adelson), il tenore Francesco Castoro (Salvini) e i bassi Clemente Antonio Daliotti (Bonifacio) e Giuseppe De Luca (Struley). E ancora Lorena Scarlata (Fanny), Kamelia Kader (Madama Rivers), Oliver Purchauer (Geronio). Orchestra e Coro del Teatro Massimo Bellini; maestro del coro Luigi Petrozziello. Scene di Benito Leonori, costumi di Catherine Buyse Dian.

La prima versione di "Adelson e Salvini",  dramma per musica in tre atti da un libretto di Andrea Leone Tottola, giunge per Bellini a suggello del prestigioso iter formativo che ha compiuto all’ombra del Vesuvio. Proviamo a riassumerne le tappe. Il 5 giugno del 1819 il diciottenne Vincenzo - nato alle pendici di un altro vulcano, l'Etna, e avviato fin da bambino alla composizione dal nonno Vincenzo Tobia e dal padre Rosario -  sale sulla diligenza che da Catania lo porta a Messina, e da qui a Napoli. Lasciata la città natale e la famiglia, trascorre sei anni nella capitale del Regno: è ammesso al Real Collegio di Musica di San Sebastiano, allievo di quel Nicola Zingarelli che, oltre a essere Direttore del Conservatorio e maestro del coro del Duomo di Napoli, è soprattutto severo depositario della prassi compositiva di quella Scuola napoletana che aveva sfidato i secoli. Nel Carnevale del 1825, nominato “maestrino”, Bellini conclude il corso di studi con una partitura che non è il frutto di un “enfant prodige”, ma il primo dei dieci capolavori che scandiscono la sua carriera.

L'operaprima merita di essere riascoltata e riscoperta per almeno tre motivi. Innanzitutto contiene alcune perle della già miracolosa vena melodica di Bellini (su tutte la Cavatina di sortita di Nelly, «Dopo l’oscuro nembo», il cui materiale sarà ulteriormente messo a profitto ne “I Capuleti e i Montecchi”); è insomma espressione di un talento originale che compiutamente assimila la lezione rossiniana, ma al tempo stesso ne costituisce un più romantico, umbratile superamento. Il lavoro s’inscrive inoltre nell’ambito del genere semiserio, un unicum nel catalogo del Nostro, e dunque racconta una storia con mille peripezie e colpi di scena, specchio di un’esuberante vitalità shakespeariana cui concorrono personaggi buffi – come il servitore Bonifacio, che nella prima stesura dispensa la sua saggezza in dialetto partenopeo – e altri più scopertamente tragici, come il pittore Salvini. E infine costituisce il più appassionante ‘cantiere’ dell’opera belliniana, oggetto di ripensamenti critici e nuove acquisizioni, in una storia ormai più che trentennale che prende le mosse proprio da Catania, dove la versione del 1825, per lodevole iniziativa dell’Università, venne ripresa per la prima volta in epoca moderna nel 1985 al Teatro Metropolitan, nella trascrizione curata dallo studioso Salvatore Enrico Failla, e consegnata al disco.

Sette anni dopo, nel 1992, in un sontuoso allestimento dal cast internazionale, sul palcoscenico del Teatro Massimo Bellini veniva rappresentata la seconda versione (non più in tre atti ma in due, integralmente in lingua italiana, con nuovi pezzi musicali e diverso epilogo), mai andata in scena prima di allora: il repêchage, anch’esso oggetto di registrazione discografica, fu dunque una prima esecuzione mondiale assoluta di vasta risonanza anche mediatica, realizzata grazie al lavoro filologico di revisione e ricostruzione condotto dal musicologo Domenico De Meo, a partire da una fonte manoscritta napoletana.

I tempi per uno studio sistematico erano ormai maturi. E nel 2001, bicentenario della nascita di Bellini, ha cominciato a prendere corpo l’Edizione critica delle opere a cura di Casa Ricordi, che ha già licenziato diversi titoli, tra cui appunto la prima versione di “Adelson e Salvini”, che dopo le felici esecuzioni di Londra e Jesi approda con tutti gli onori nel tempio etneo della lirica.

23 Set 2018
02 Ott 2018
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