“Agata e la grande eruzione del 1669” con Gammazita

Domenica 2 febbraio 2020, Gammazita organizza Agata e la grande eruzione del 1669, un percorso sulle tracce della più disastrosa eruzione dell'Etna, tra i miracoli di Sant'Agata e i resti urbani della colata del 1669.

Appuntamento alle 12:00 davanti alla sede di Gammazita.

La passeggiata dura 50 minuti circa, non è necessaria la prenotazione ed è gratuita, con contributo finale a cappello facoltativo.

I primi di marzo del 1669 inizia una delle eruzioni più spettacolari e distruttive della storia etnea: 122 giorni di durata, 16 km di colata lavica, 40 kmq di territorio sepolto, 900 milioni di mc di materiale eruttato,16 paesi distrutti tra cui parte di Catania. Un evento che ha segnato profondamente la nostra città e il territorio circostante, che ne ha cambiato forma e aspetto, che ha ridisegnato le nostre coste, ma che non è riuscito di certo a scoraggiare i catanesi che hanno saputo risollevarsi con grande caparbietà, operosità e prontezza.
D'altronde se l'eruzione del 1669 è stata la più disastrosa, non è stata né il primo né l'ultimo tra i grandi eventi naturali che hanno sconvolto il quieto vivere del popolo etneo, che è sempre riuscito a risorgere dalle proprie ceneri con grande forza, anche grazie all'incommensurabile fede che ripone nella santa protettrice della città e nei miracoli con cui lo grazia.

AGATA E LA GRANDE ERUZIONE DEL 1669
Il vulcano Etna è dormiente da diciassette anni, quando tra l'8 e l'11 marzo del 1969 una serie di terremoti colpiscono il versante sud-orientale dell’Etna, provocando crolli e danni ingenti in diversi paesi etnei. La popolazione, già atterrita dallo sciame sismico viene sconvolta dall'eruzione che si sviluppa da una serie di nuove fratture che si aprono sull'alto versante meridionale del vulcano. Ben presto la lava si riversa nelle campagne, distruggendo Nicolosi fino a raggiungere Monpileri. Dal 13 marzo la discesa della colata lavica diventa inarrestabile e si dirama seguendo tre direzioni: verso occidente distrugge Malpasso il quale poi sarà ricostruito più in basso e prenderà il nome di Belpasso. Verso oriente travolge Mascalucia e il 15 marzo arriva a S. Giovanni Galermo, distruggendo numerose abitazioni. La popolazione ha il tempo di fuggire: la lava, infatti, non produce vittime umane. Tuttavia niente può fermare la colata e tutti i paesi a sud della montagna (San Pietro Clarenza e Camporotondo) vengono travolti. Il 29 raggiunge Misterbianco, travolgendolo.

Il 1 aprile la lava invade le prime borgate cittadine (tra cui Cibali e il Borgo), seppellisce le gurne di Nicito e raggiunge la cinta muraria. Si spera che le mura arrestino la terribile avanzata ma non è così: i bastioni di S. Giorgio e di Santa Croce vengono sovrastati ed il flusso, alto ormai diversi metri, penetra in città generando panico e distruzione, persino le mura del Convento dei Benedettini vengono danneggiate. Il flusso incandescente si dirige a sud-ovest, travolgendo le effimere barricate edificate in fretta e furia dagli abitanti. Decine di migliaia di persone si ritrovano senza casa. Per venti giorni Catania è assediata dal fiume di fuoco cui nessuno riesce a porre un freno. I catanesi temono il peggio, non resta che invocare Sant’Agata e stringersi nella fede, così come avevano fatto il 1 febbraio del 252 (Agata era morta da appena un anno), quando Catania venne minacciata da una violentissima eruzione dell’Etna e gli abitanti dei vari villaggi fecero ricorso al velo che cingeva il suo sepolcro, opponendolo all’avanzata inesorabile della forza distruttrice della natura. Leggenda vuole che il velo, di colore bianco, diventa rosso e arresta l’eruzione miracolosamente proprio il 5 febbraio, giorno dell’anniversario del martirio di Agata. Da allora è cominciato il patrocinio di Sant’Agata sulla città di Catania.
Sant'Agata ha sempre protetto i catanesi dalla lava e dal fuoco: nel 1239, nel 1381, nel 1408, nel 1444, nel 1536, nel 1567 e nel 1635. Così nel 1669 quando la lava era già in città ai catanesi non restava altro che stringersi attorno alla devozione per la loro Santuzza.

Il 23 aprile del 1669 la lava raggiunge il Castello Ursino e circonda il fossato ma quando giunge ad una distanza di 300 metri dal Duomo, miracolosamente la lingua di fuoco scansa i luoghi in cui la santa era stata imprigionata, aveva subito il martirio e dove era stata sepolta, per riversarsi in mare, nella zona dell’attuale porto. Il flusso lavico penetra in mare per più di 2 km e cambia per sempre l'assetto della costa catanese. La fase parossistica dell’eruzione, la più grande dell’ultimo millennio, termina sostanzialmente qui ma fino al 15 luglio il vulcano continua ad emettere lava e prodotti piroclastici.
Fu chiara a tutti la volontà di Sant'Agata di salvare i luoghi che appartenevano alla sua storia e al suo culto, proteggendo ancora una volta Catania dalla spietata forza della natura.

Il quartiere del Castello Ursino custodisce i resti urbani della colata del 1669, le antiche mura abbracciate dalla lava, i ricordi e i luoghi di quei tremendi giorni di terrore e fede.

02 Feb 2020
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